Foto di castel Sant'Angelo a Roma completamente deserto
Penso e Scrivo

Cosa è cambiato dopo un anno di pandemia

“Ce la faremo”, “andrà tutto bene”, “ne usciremo migliori”.

Queste le espressioni che hanno caratterizzato il primo lockdown. Da allora è passato un anno: il virus è ancora tra noi, l’altalena dei contagi non accenna a fermarsi, siamo nuovamente in lockdown e la campagna vaccinale procede a rilento.

Perciò, che cosa è cambiato dopo un anno di pandemia?

Ciò che posso dire è che nell’ultimo anno abbiamo vissuto delle profonde contraddizioni.

Ho visto gente affacciarsi dai propri balconi, applaudire e cantare l’Inno con un senso di ritrovata unità nazionale, mentre sui social s’inveiva contro una ragazza tornata a casa dopo 18 mesi, con l’unica colpa di essere viva e di aver indossato un velo.

Ho visto l’amore, la solidarietà, la condivisione e la voglia di aiutare i più deboli, mentre la bestia umana augurava la morte ad una senatrice già sopravvissuta all’odio degli uomini.

Ho visto medici e infermieri trasformarsi improvvisamente in eroi e venire inneggiati da quegli stessi che continuano a non indossare la mascherina e a lamentarsi delle restrizioni.

Infermieri e medici che infondono coraggio mentre sono al lavoro

Ho visto politici che, ancora una volta, hanno anteposto i loro interessi al bene del Paese, come dimostra l’ultima scellerata crisi di governo, per poi mostrarsi dinanzi alle telecamere e mentire agli italiani.

Ho visto tante, troppe persone morire da sole e diventare un semplice numero nella marea di dati statistici da cui veniamo inondati ogni giorno, mentre c’è chi pensa che l’importanza della vita umana si misuri in base alla sua utilità.

Ho visto ragazzi e ragazze comprendere il valore della scuola soltanto quando gli è stata tolta, e tuttavia continuare ad assembrarsi senza il minimo rispetto delle regole.

Ho visto chi ha perso tutto guardare al futuro con ottimismo, con la voglia di ripartire dopo lo stop forzato, a differenza di chi, pur avendo tutto, continua a piangersi addosso.

Ho visto città deserte come soltanto i film avevano saputo mostrare, mentre la natura si affacciava timida per riprendersi i suoi spazi.

Piazza Duomo a Milano vista dall'alto completamente deserta

Per quanto mi riguarda, non è stato un anno da buttare. La mia vita mi è mancata e mi manca tuttora, ma ho cercato di sfruttare il tempo trascorso in casa per tracciare una strada da seguire. E come me, molti altri hanno avuto modo di riflettere e di mettere ordine nella scala gerarchica dei propri valori. Oggi, però, dopo un anno di pandemia, sentiamo più che mai il bisogno di normalità. Quella normalità che abbiamo dato sempre per scontata e che rappresenta, invece, il nostro bene più prezioso.

Il virus ci ha colpiti duramente e ha cambiato le nostre vite.

Ma sta a noi scegliere come vivere questo periodo: possiamo lasciare che passi nell’indifferenza più totale oppure possiamo viverlo come un’occasione per migliorare noi stessi, per davvero e non soltanto per aderire ad uno slogan. Riconosco che per chi ha perso qualcuno e per chi faticherà a riaprire la sua attività o a trovare un nuovo lavoro essere positivi è davvero molto difficile. Non voglio sembrare insensibile, ma ritengo che provare a rimboccarsi le maniche sia sempre una soluzione migliore dello sconforto.

Per tornare alla domanda iniziale su cosa è cambiato dopo un anno di pandemia, mi sento di rispondere: poco o nulla. Se da un lato abbiamo imparato a rinunciare al contorno e a farci bastare l’essenziale, dando valore ad una carezza o un semplice abbraccio, dall’altro lato vedo ancora lo stesso egoismo e la stessa rancorosa frustrazione di prima.

I numeri ci dicono che, nonostante la speranza del vaccino, stiamo ancora vagando per una “selva oscura”. Ma se, anziché lamentarci del colore della nostra regione, provassimo a rispettare quelle poche, semplici regole che ci sono state date, forse nel 2021, l’anno di Dante, avremo davvero la possibilità di uscire “a riveder le stelle”.

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